“La vita da grandi” di Greta Scarano — Recensione Film
Abbastanza gnammy la mattinata di oggi, per quanto pure questa strana forte: anziché una programmazione normale, come dormire fino all'una o boh, andare a messa, questa domenica mattina sono andata al cinema a vedere un film nuovo, uscito 3 giorni fa: La vita da grandi, diretto da Greta Scarano (regista debuttante), e in cui figurano come protagonisti due fratelli, Omar ed Irene Nanni.
Irene ed Omar, lui il fratello maggiore, sono belli che grandi, ma il film racconta non altro che il percorso di crescita da affrontare a tale età per diventare effettivamente adulti... perché la sorella ha la sua vita normale, ma il fratello è un tizio autistico che, a ben 40 anni, non è ancora riuscito a rendersi autonomo dai genitori per quanto riguarda le questioni pratiche, la roba di tutti i giorni. E il tema del film è proprio l'autismo cosiddetto di alto funzionamento, e le difficoltà subdole che questo porta non solo a chi ne è affetto, ma alle persone che gli sono vicine, che alcune volte sbagliano di grosso nel gestirle.
Il film si apre con Irene che si ristabilisce per diversi giorni nella casa dei genitori a Rimini, sostanzialmente perché la madre vive una situazione di salute problematica e deve andare in quel periodo ad approfondirla, e c'è bisogno che qualcuno, a parte la zia e la nonna, si prenda cura del fratello. Questo perché i genitori lo hanno fatto vivere per tutti quegli anni sotto una protezione estrema, che chiaramente non può venire a mancare da un momento all'altro, altrimenti sarebbe davvero la fine: Omar, per dirne una, non riesce neppure a lavarsi da solo, e ha solo un lavoro part-time con cui non riuscirebbe mai a sostentarsi.
Nel mezzo di un periodo già difficile tra amore e lavoro, tornando a casa Irene riceve addosso questa enorme responsabilità, che per lei è inizialmente un macigno. La madre in questo certamente non aiuta, con la sua personalità estremamente ansiosa e protettiva, che diventa persino prevaricante nel momento in cui qualcuno, come Irene stessa, si comporta in modo più libero e responsabilizzante nei confronti di Omar; principalmente, opponendosi alla possibilità che il figlio faccia quelle varie esperienze che sono tutto sommato normali, ma potenzialmente sovraccaricanti e difficoltose per un individuo con quel grado di dipendenza familiare — opponendosi al fatto che la vita è resa tale anche dai rischi.
Data una tale situazione, il doversi interfacciare in maniera così reale con il fratello diventa in realtà occasione di crescita personale per Irene stessa, che non sopporta l'idea di dover finire praticamente a fare da badante al fratello una volta che i genitori non ci saranno più, e quindi fa un importante sforzo. Inizia a fare quello a cui i genitori hanno palesemente rinunciato ad un certo punto del loro percorso, ossia cercare di capire veramente Omar e lasciare che abbia modo di sperimentare, e di sbagliare, con il desiderio non solo che lui possa diventare un adulto autonomo, ma una persona realizzata, un uomo felice.
Allora, in questo periodo in cui la madre è per qualche attimo fuori dalle palle, questo è esattamente quello che succede. La sorella scopre il talento praticamente nascosto del fratello per la musica, che aspira a diventare di professione quello che lui si autodefinisce, ossia "gangster rapper autistico" (ho riso). Questo è un sogno che tiene nascosto alla sua famiglia, condividendolo solo con altri ragazzi autistici conosciuti tramite un'associazione, e con la sorella che lo scopre dopo averlo pedinato, una sera in cui lui è uscito di casa senza dire nulla. La madre non gli permette infatti neanche di andare a cantare in un locale del posto con gente tranquilla, perché ha il terrore di cosa potrebbe provare il figlio nel fallire.
Durante la storia, infatti, si scoprono anche i momenti più oscuri del vissuto di Omar in questo senso, che hanno chiaramente influenzato la madre fino a farle sviluppare l'atteggiamento che ha. Come è in realtà abbastanza comune per le persone nello spettro autistico — che di solito hanno una ben più grande consapevolezza di sé di quanto appaia alle persone neurotipiche (ma anche di quanta queste ultime ne abbiano, aggiungerei personalmente), ma contemporaneamente delle enormi difficoltà nell'esprimere ordinatamente le proprie emozioni — è arrivato persino a considerare seriamente il suicidio per motivi relativamente stupidi, come l'essere stato rifiutato dal conservatorio, avendo alla fine rinunciato davvero solo per pigrizia.
Nonostante diversi episodi spiacevoli nel mezzo — come quando l'uomo si è fidato di un presunto senzatetto affamato, che sfruttando la sua ingenuità lo ha assalito e rapinato; o come quando si è lasciato convincere di tornare a casa dalla genitrice isterica, che si è precipitata fino a Bologna scoprendo che in quel momento avrebbe dovuto partecipare al casting del talent show a cui aveva evidentemente tanta voglia di partecipare, convinto dalla sorella che non bisogna arrendersi a quelle sconfitte che nella vita purtroppo arriveranno sempre — alla fine la storia si conclude piacevolmente. Omar ha ovviamente ancora del lavoro da fare, ma il periodo con Irene gli ha giovato tanto quanto ha giovato a lei stare con lui, da cui lei ne esce con prospettive diverse anche sulla propria vita.
Tutto sommato, questo è un film che ho trovato particolarmente emozionante, e in cui volente o nolente mi rivedo come Omar. Al di là di tutti gli spacc che mi capitano giornalmente, vedendo le cose in questa prospettiva devo riconoscere la fortuna che comunque ho avuto, da ahimè persona autistica, ad avere due genitori intelligenti, capaci e pazienti; non mezzi scemi, come invece non ho paura a dire che mi sono sembrati quelli dei due fratelli... tra la madre su cui ho detto già troppo e il padre che, rendendosi sotto sotto conto di come la madre esageri e che il suo metodo non è quello giusto, rimane comunque completamente passivo, andando appresso alla moglie. (Regà, se siete degli yesman fatevi il piacere, non vi sposate...)
L'errore enorme che i genitori di Omar Nanni hanno commesso, tutto sommato, è quello di essersi semplicemente arresi all'idea che non potessero fare nulla per la condizione del figlio, finendo per accettarla passivamente piuttosto che studiare, informarsi, accettare che la genitorialità è una questione complessa e avere quindi l'umiltà di abbassarsi ad impararla; non andare in base alle vibe, su quella che senza dati alla mano si pensa sia la strada giusta, ma che puntualmente non lo è. Ovviamente, in casi come questi il torto si accumula, diventando marcio: la madre dice più volte ad Irene che lei non accetta di imparare dalla figlia, che madre non è, come si fa il genitore, salvo poi doversi ricredere alla fine di tutto.
E insomma, è un'opera che consiglio senza dubbio di guardare. Sento possa essere sicuramente utile alle persone neurotipiche (quelle in buona fede, almeno) per capire una piccola parte (ahivoi, il buco del bianconiglio è profondo su questo argomento!) della realtà dell'autismo, ma comunque è una commedia in generale piacevole, pure se tocca note potenzialmente dolorose. Il film è ben fatto sotto questo punto di vista, perché è in realtà tratto dalla storia vera dei fratelli Damiano e Margherita Tercon, precisamente dal loro libro autobiografico "Mia sorella mi rompe le balle: Una storia di autismo normale"... ma probabilmente anche perché Yuri Tuci, l'attore che interpreta Omar ed anch'egli debuttante, è realmente autistico. (Irene invece è stata interpretata da Matilda De Angelis, a proposito della quale qualcuno su spacctorium fa commenti poco educati.)
Qualche curiosità scema, infine, c'è anche stavolta. Innanzitutto, anche in questo caso non conoscevo nessuno dei partecipanti al lavoro, per quanto le guest star inaspettate non sono mancate: in una delle scene finali, tra i 4 giudici del talent show appaiono sia Mara Maionchi, che però è un po' prevedibile visto il contesto della scena, e Ferzan Özpetek, che mi lascia spiazzata visto come l'ultimo e unico film che ho mai recensito qui fosse uno diretto da lui mesi fa. La regia mi è piaciuta per i dettagli curiosi, ad esempio quando un poster del famigerato talent show si intravede per strada in una scena prima che questo fosse introdotto (ed era così particolare che subito ho sentito che la storia ci sarebbe andata a parare)... o per via di come ci sono riferimenti inspiegabili alla Salernitana, come quando Irene racconta al fratello che il primo messaggio di invito ad uscire del suo ragazzo fosse stato per andare a vedere la partita (e mio padre ha ovviamente apprezzato queste reference). Un film veramente gnammy.